Quella di Hector è una storia che ha tante storie dentro: la storia di un bimbo con una cardiopatia grave che potrebbe ucciderlo da lì a poco e della sua famiglia che vuole salvarlo; quella della catena di solidarietà che congiunge, andata e ritorno, una cittadina vicino Caracas nel Venezuela e la perla del Mediterraneo, Taormina, in Italia; quella di un reparto di eccellenza che sta per essere chiuso; e infine la storia di come opera un volontariato che parla poco e fa tanto e sa collaborare concretamente in ogni momento.
Soprattutto, «in un mondo di morte – guerre, calamità, povertà – quella di Hector è una storia che parla di vita», dice l’oncologo Alessandro D’Angelo, volontario da oltre trent’anni, governatore della Misericordia San Giuseppe di Letojanni. «Raccontare quanto accaduto è importante, ma non per “strappare lacrime”. È importante per renderci tutti un po’ più consapevoli di come, insieme, si possa fare quella famosa differenza alla quale in tanti vorrebbero contribuire. Grazie al volontariato intellettualmente onesto, grazie alla comunione di intenti tra istituzioni e terzo settore, grazie alla collaborazione tra realtà diverse e anche lontane».
E in effetti i riflettori su Hector si accendono dopo che tutto è già successo, quando il neonato e la mamma sono tornati a casa e da casa hanno cominciato a mandare foto e video per ringraziare ma anche per tenere aggiornati gli “amici italiani” sulla salute del piccolo.
«L’intervento della Misericordia – aggiunge D’Angelo – è stato solo una parte, per quanto importante, dell’intero percorso». Ad attivarsi per Hector sono stati tanti: i medici venezuelani che hanno contattato il centro d’eccellenza taorminese; la Fondazione Germano Chincherini Onlus; l’associazione Matumaini Speranza onlus presieduta da Carmen Falletta, ideatrice del progetto “I bambini di Matilde”; la Misericordia, e, naturalmente, «la straordinaria equipe del reparto di cardiochirurgia pediatrica del San Vincenzo di Taormina, dal primario dott. Sasha Agati a tutti i suoi collaboratori». “Anelli” di una “catena” a cui è arrivato il ringraziamento anche del Consolato Generale d’Italia a Caracas.
Impossibile però negare che un “anello” fondamentale di questa “catena” stia per chiudere. Secondo le ultime notizie, infatti, la Cardiochirurgia pediatrica del San Vincenzo di Taormina, composta da «professionisti eccellenti che sono anche persone straordinarie impegnati in missioni internazionali nelle zone di guerra, nelle comunità in difficoltà, in Africa, Asia, America», resterà aperta solo fino al 31 luglio e solo grazie ad una sorta di proroga, in attesa che entri a regime la Cardiochirurgia pediatrica del Civico di Palermo.
Intanto, Hector oggi è a casa. «Una volta una giovane volontaria – racconta D’Angelo – mi disse: “dovremmo imparare a donare un po’ di noi”. Un’immagine che non ho mai dimenticato». Quando Hector è arrivato in Sicilia, a dicembre, aveva appena quattro mesi ed era in fin di vita. A sostenere il bimbo e la madre, nei 28 giorni di permanenza a Taormina, il volontariato. Assieme a D’Angelo, Francesca Celi, la coordinatrice dei servizi prestati dalla Misericordia, e altri dieci volontari che si sono adoperati per prendere mamma e figlio all’aeroporto di Catania, accompagnarli in ospedale, affiancare la donna in tutte le incombenze, fornirle tutto quelle che le occorreva: vitto e alloggio, un cellulare per essere sempre rintracciabile da parte dell’ospedale e per poter comunicare con il marito e gli altri figli rimasti in Venezuela, vestiti per sé e per il figlio, un modo per spostarsi da casa al nosocomio, «qualcuno con cui parlare, degli amici, seppure conosciuti da poco, ai quali affidarsi, perché essere sola in un momento così sarebbe stato terribile». E anche «gli immancabili regali per il piccolo».
La mamma venezuelana è stata ospitata in uno dei sei mini appartamenti affidati alla Misericordia dalla Fondazione Chincherini Onlus. E anche questa è una storia che va raccontata, perché Taormina è il luogo del turismo internazionale, i costi per il pernottamento dei familiari dei ricoverati sono insostenibili per la maggior parte delle famiglie, italiane o straniere che siano, e quindi si sono sottoscritte convenzioni con alcuni B&b che però non sempre hanno posti sufficienti e comunque comportano una spesa che non tutti possono permettersi, e così la Fondazione ha affidato alla Misericordia questi sei alloggi, dopo che «mille volte abbiamo visto intere famiglie pernottare in un’automobile pur di stare accanto ai loro bambini malati».
«La storia di Hector apre il cuore alla speranza», conclude D’Angelo. «Anzitutto perché il bimbo sta bene, la cosa più importante. Ma anche perché ci ricorda che esiste un volontariato in grado di mettere davanti a tutto il bisogno dell’altro sempre e comunque. Un volontariato “vecchio stile” capace, perché no, anche di far superare le diffidenze e preoccupazioni di coloro che vorrebbero impegnarsi ma sono sopraffatti dalle proprie ansie e da quelle per la situazione generale in cui viviamo. La storia di Hector ci ricorda che dare una mano agli altri è un’esperienza senza eguali per dare una mano anche a noi stessi, farci uscire dall’angolino in cui viviamo e, a volte, solo sopravviviamo, e farci scoprire chi siamo veramente».