Educatore e responsabile nazionale per la formazione di Libera. Associazioni, Nomi e numeri contro le mafie, Michele Gagliardo si occupa da oltre tre decenni in tutta Italia di politiche educative e giovanili. Ecco le sue riflessioni in vista della partecipazione a “EsserCi Festival”.
– Le ultime indagini Istat certificano una diminuzione di volontari in Italia. Si tratta dei dati tratti dal monitoraggio delle associazioni e organizzazioni. Secondo lei c’è davvero questa crisi? E se sì, quali sono le ragioni che la possono spiegare? E quali sono le “contromisure” da adottare?
«Non so se quanto sta accadendo al mondo del volontariato può essere definito “crisi”, dico questo per due motivi: in primo luogo perché nel concetto di crisi è inscritto anche quello di trasformazione e ciò che oggi maggiormente mi colpisce di una parte del mondo del volontariato è una approfondita riflessione sul come quanto sta accadendo attorno chiede alle singole organizzazioni di ripensarsi, di trasformarsi, di mantenere saldi i riferimenti valoriali e le proprie radici per mutare in funzione del tempo che stiamo vivendo; ciò che mi sembra di vedere è un prevalente irrigidimento, una forma forse protettiva rispetto alla sempre più alta complessità, che però non permette di alzare lo sguardo e porsi in uno spazio del possibile e del futuro promettente. In secondo luogo, rifletto spesso sul come si scambi per crisi una sorta di trasformazione della fraternità e della responsabilità reciproca. Cioè, se nel guardare a quanto accade attorno a noi, relativamente alla partecipazione e all’impegno delle persone adulte e dei giovani, si utilizza sempre lo stesso sguardo, non si coglie il movimento che nelle nostre città c’è. Quando un sistema fatica a cambiare e utilizza paradigmi obsoleti per guardare al mondo, fatica a riconoscere tutti quei processi solidali e di cura reciproca che oggi si praticano in modo nuovo o differente.
«Credo, comunque, che l’essere immersi in una società utilitarista, individualista, “figlia” dell’immaginario economico, che ha portato a pensare alla comunità e ai legami tra le persone come limiti all’affermazione personale, abbia un ruolo determinante nel rendere più fragile il sistema di relazioni e di cure reciproche.
«Circa le contromisure, non è facile dare ricette e fare prescrizioni; si possono pensare ad alcune ipotesi da sperimentare utili a rifondare alcune condizioni oggi pregiudicate. Ripartire dall’educazione, intanto, da una educazione di parte, che sente il dovere di fare una precisa proposta di società e di persona, che rimette al centro i processi di crescita individuali e collettivi, che partendo dalla prossimità cerchi di potenziare il riconoscimento, la reciprocità e alleanze di comunità. Che renda plasticamente visibile come siamo gli uni legati agli altri, gli uni determinati dagli altri e determinanti per gli altri; del come la nostra vita sia fondamentalmente una lunga storia di relazione e per questo necessiti di questo elemento vitale, i legami di cura e di fratellanza. Poi, sento la necessità di un impegno più forte per la giustizia e l’uguaglianza, perché fino a quando ci saranno persone private dei loro diritti e schiacciate da condizioni disumane sarà difficile fare parole su solidarietà e volontariato».
– Dal 2020 siamo dentro emergenze di varie natura: la pandemia, le guerre, le crisi ambientali e le crisi energetiche. In tutto questo, qual è il ruolo fondamentale che può essere assolto dal volontariato o soprattutto dal volontariato?
«Questo quesito lo vedo strettamente connesso al precedente: collegare il volontariato alle emergenze priva il volontariato stesso di prendersi il necessario spazio all’interno dell’ordinarietà della vita di persone e comunità. Quando ci sono emergenze, e lo abbiamo visto in questi ultimi anni sia per la salute che per il clima, le persone si muovono, i giovani ci sono.
«Serve un salto culturale che permetta al volontariato di non essere più principalmente legato alle emergenze, ma di essere riconosciuto nelle pratiche quotidiane, tra le cose che si possono fare tutti i giorni. Un moltiplicatore di valore e non un sostituto o un “tappa buchi” di una politica troppo lontana da una visione del mondo umana con al centro la giustizia sociale e ambientale.
«Esperienze di questo tipo ci sono; sono vive in piccoli centri di zone periferiche, riescono a cogliere i bisogni delle persone e mettersi al loro fianco ricostruendo comunità sensibili e coese. Pensano agli anziani e ai bambini, hanno a cuore la salute e la crescita, le famiglie e gli insegnanti, chiedono alla politica una maggiore cura delle persone, dei luoghi e del futuro. Ci sono, serve solo dare loro voce, costruire narrazioni potenti generatrici di interesse e di virtuose contaminazioni».
– Dal suo punto di vista, come si coniugano mondo della scuola e mondo del volontariato?
«La scuola non è tutto, alla scuola non si può chiedere tutto. Ogni volta che accade qualcosa si chiede alla scuola di occuparsene, oppure la si accusa di non essersene occupata al meglio. In questa direzione la scuola può certamente fare la sua parte ma accanto ad essa va chiesto l’impegno di tutta la comunità, della politica, delle strutture intermedie, dei cittadini per rimettere al centro giustizia, uguaglianza, libertà e rispetto della dignità delle persone.
«La scuola poi dovrebbe ripensare al suo paradigma e investire maggiormente sulla forma dello stare insieme, sulla costruzione di luoghi collettivi nei quali vivere l’esperienza della condivisione di sguardi, conoscenze, musiche, immagini, accadimenti, pensieri, per costruire e ricostruire insieme il sapere. Accanto a questo, può avere un ruolo importante nell’avvicinare i giovani alla realtà di chi fatica, comprendendone la vita, i bisogni, i desideri e individuando, nel legame, ciò che è possibile fare da subito, per migliorare la qualità della vita di chi ha limiti alla propria crescita».
– Lei interverrà a “EsserCi Festival” in particolare a proposito di educazione e contrasto alle mafie. In che senso formazione ed educazione possono contribuire a costruire il futuro del volontariato?
«Parto dal concetto che non è stato citato: “contrasto alle mafie”. Il contrasto alle mafie e alla cultura mafiosa ha molto a che fare con la promozione del volontariato: le mafie vivono e diffondono in modo concreto il valore della privazione, della sottrazione del bene comune e pubblico a favore di pochi, togliere a tutti per dare a pochi privilegiati. Ecco, questo muoversi non ha nulla a che fare con i processi di tutela del bene comune, di quei beni materiali e immateriali che rafforzano la difesa dei diritti; questo procedere non ha nulla a che fare con la cura della comunità, ma distrugge tutto ciò che è collettivo a favore di ciò che è privato e di pochi.
«Poi ancora: le relazioni e i legami in contesti attraversati dalla pedagogia mafiosa sono qualificati dalle logiche familistiche, della cura nei confronti delle persone con le quali si ha un vincolo di sangue o sono utili al potenziamento dell’interesse privato sopra descritto. Per questa l’impegno nel contrasto alle mafie e alla loro cultura è un importante tassello per lo sviluppo del volontariato e dei suoi principi fondamentali.
«Proseguendo, formazione ed educazione hanno un valore fondamentale perché sono pratiche concrete attraverso le quali si possono “costruire città”. Cioè sono gli strumenti grazie ai quali è possibile far crescere cittadini e territori che hanno a cuore l’affermazione della giustizia sociale e dell’uguaglianza. Ciò è possibile se adulti e giovani che sentono di avere una responsabilità educativa, nel loro educare quotidiano, fanno una precisa proposta, scelgono un progetto di persona e città da realizzare. Ma non solo, altre due cose sono da affiancare alla precedente: la prima, abilitare le persone con cui entrano in relazione a discutere la proposta di società, a farsi un’idea e discutere attivamente; la seconda, se si oppongono con forza a tutte quelle educazioni e scelte che non costruiscono quel mondo che, nel nostro caso, non contribuiscono ad edificare città che crescono in giustizia e libertà».
– Cosa si aspetta da “EsserCi festival. Il volontariato che c’è”? Quale contributo darà la sua partecipazione?
«”EsserCi festival” è una grande opportunità, è un’occasione perché persone diverse tra loro possano, primo, incontrarsi e, secondo, discutere tra loro. Due esperienza fondamentali per la realizzazione del mondo che vogliamo nel quale il volontariato sia una cosa ordinaria e quotidiana. Credo sia importante avvicinarsi a questo momento non pensandolo come uno spazio nel quale presentare la propria organizzazione, ma per discutere a partire dall’esperienza dell’organizzazione di appartenenza come costruire legami e azioni utili a migliorare questo nostro martoriato mondo. Il contributo della mia partecipazione? Non so, cerco di essere una persona semplice e umile che ha scoperto grazie alle persone, che la vita ha fatto incontrare, alcune cose importanti e un orizzonte da raggiungere, che si affiancano a molte domande e dubbi; questo credo possa essere l’apporto della mia partecipazione, condividere gli orizzonti di un impegno per il cambiamento».
– Perché per lei è importante “esserci”?
«In generale esserci è importante perché, dal mio punto di vista oggi è necessario recuperare prossimità e condivisione della vita. Essere vicini, condividere, essere nei luoghi dove le persone provano a vivere e a cambiare le sorti di questo mondo, per confrontarsi e impegnarsi insieme. Nello specifico dell’incontro, perché mi auguro l’incontrarci tutti aiuti a sentire di più il nostro potere e la nostra potenza e a ripartire determinati nell’immersione quotidiana nelle nostre comunità forti dei legami costruiti e della fiducia di essere in tanti a lottare per trasformare le cose».